Ferruccio Ferrazzi, Autoritratto come Lazzaro, 1922, 41,5 x 41,5 cm, olio su tavola. Collezione privata.

FERRUCCIO FERRAZZI

Roma 1891/ 1978

Suo padre, Stanislao, è uno scultore che lo inizia all’arte. Ferruccio è il fratello maggiore di altri tre figli: Riccardo che diventerà pittore con il nome di Benvenuto, in ricordo del Cellini, Adele e Maria. Tra il 1904 e il 1905 frequenta lo studio di Francesco Bergamini, allievo di Michele Cammarano; mentre tra il 1906 e il 1908 si iscrive contemporaneamente alla scuola Libera del Nudo e a quella serale dell’Accademia di Francia. Sorprende l’ambiente artistico romano esordendo nel 1907, a soli sedici anni, nella LXXVII Esposizione di Belle Arti, dove espone un Autoritratto in cui il colore è liberamente steso con la spatola. L’anno successivo vince la borsa di studio nell’Istituto Catel, che gli permette finalmente di dedicarsi completamente all’arte. Viene infatti posto sotto la tutela artistica di Max Roeder, paesaggista di ascendenze boeckliniane, che lo introduce nella colonia degli artisti tedeschi. Nel 1910 è ammesso alla IX Biennale di Venezia, dove la sua opera è collocata nella “Sala della gioventù”. Nel 1911 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma gli acquista il dipinto Focolare esposto nell’esposizione internazionale di Roma. Finalmente alla fine dello stesso anno vince il Pensionato Artistico Nazionale. Agli inizi dell’anno nuovo è già a Parigi insieme al padre per studiare nei musei le rotazioni della luce negli antichi e moderni pittori, tra i quali innanzitutto Georges Seurat. In questo periodo l’artista alterna così opere di ascendenza futurista è amico di Filippo Tommaso Marinetti ad altre di influenza cézanniana. Sperimenta nuove ricette pittoriche e frequenta il Gabinetto delle Stampe. Egli inoltre appare ben inserito nel milieu artistico ed intellettuale della capitale: è molto amico di Federico Tozzi, militare a Roma, di Luigi Trifoglio, Roberto Melli, Giacomo Balla e Mario Broglio. Tra l’agosto 1915 e il febbraio 1916 si iscrive all’istituto di musica. I risultati dei suoi sforzi si possono vedere già nel 1916 alla LXXXV Esposizione Società Amatori e Cultori di Belle Arti, dove allestisce personalmente la sala che gli viene assegnata come l’interno di un prisma, dove i quadri e i frammenti pittorici riportano delle sagome irregolari, sghembe, legate alle complesse concezioni prospettiche delle stesse opere. Mentre l’ambiente romano grida allo scandalo e gli viene tolto il Pensionato, il cui regolamento vieta di esporre, i coniugi Signorelli, mecenati di Armando Spadini, gli acquistano dei lavori, tra cui una scultura, Pietà. Ricava allora un nuovo studio dove già abita con tutta la famiglia, nell’area archeologica della Domus Aurea. Nel frattempo, Walter Minnich, medico svizzero appassionato collezionista d’arte ed in particolare degli espressionisti tedeschi specialmente di Max Pechstein, suo amico, rimane molto colpito dalle opere di Ferrazzi agli Amatori e Cultori, al punto che ne acquista diverse. Inoltre lo invita a soggiornare nella casa di Montreux sulle rive del Lemano. Nel 1917 espone alla Kunsthaus di Zurigo nel aprile 1917, leggendo nella ricca biblioteca di Minnich tra gli altri Ferrero, Bergson. Tali letture si vanno ad unire a tante altre delle quali l’artista continuamente si nutre: Novalis, Eschilo, Sofocle, Peguy. Ritornato a Roma tra maggio e settembre 1917, alla fine dell’anno è chiamato ad assolvere gli obblighi del servizio militare in Sardegna. Nel 1919, ancora in parte coinvolto dalle suggestioni futuriste, espone nella Grande Esposizione Nazionale Futurista, che si tiene a Palazzo Cova di Milano poi a Firenze, Genova e Mosca. Nel 1921 tiene la sua prima personale nella Casa d’Arte Italiana diretta da Enrico Prampolini e Mario Recchi di area futurista.

Vi espone due olii su carta, acquerelli e disegni, molti realizzati in Svizzera e in Sardegna, che vengono criticati da Cipriano Efisio Oppo su “L’idea Nazionale” del 21 gennaio 1921, perché di ascendenza “nordica”. In primavera partecipa alla Prima Biennale Romana. Nel luglio del 1922 sposa Horitia, figlia di Francesco Randone, maestro ceramico, cultore di filosofie ermetiche ed animato da principi di socialismo umanitario. Da questa unione nasceranno tre figlie: Fabiola, Metella e Ilaria. Nel 1923 la personale alla Seconda Biennale Romana lo indica definitivamente quale punto di riferimento nel panorama artistico romano, innanzitutto per la nuova generazione. Tra i suoi collezionisti e mecenati spiccano i coniugi Signorelli, Emanuele Fiano e i coniugi Ottolenghi, più tardi Alfredo Casella. Tra il 1925 e il’27 studia Piero della Francesca a Firenze e Arezzo, nello stesso periodo in cui avvia gli studi per il tempietto commissionatogli dagli Ottolenghi ad Acqui Terme, architettonicamente realizzato da Marcello Piacentini. Ferrazzi ricerca in Piero stretti e assoluti principi di composizione, capaci di ordinare l’aspetto emotivo della figurazione, che nel ciclo decorativo del Mausoleo degli Ottolenghi è ispirata a temi escatologici. Nel frattempo nel 1926 partecipa all’Exhibition of Modern Italian Art allestita al Gran Central Art Galleries di New York.

Alla fine dell’anno gli viene conferito il prestigioso Premio Carnegie che, presieduto in questa edizione da Pierre Bonnard, per la prima volta viene assegnato ad un italiano. Dal 1929 occupa la cattedra di decorazione pittorica all’Accademia di Belle Arti di Roma. Gli viene inoltre dedicata la prima monografia sulla sua arte nella preziosa collana “Arte italiana Moderna”, diretta da Giovanni Scheiwiller per la casa editrice Hoepli di Milano.

Gli anni Trenta si aprono con la partecipazione alla Mostra del Novecento italiano organizzata da Margherita Sarfatti a Buenos Aires, dopo che nel 1926 delle incomprensioni gli avevano fatto decidere di non esporre alla prima mostra di “Novecento italiano” (1926). Nel 1931 Cipriano Efisio Oppo, nuovo “arbitro” delle arti sotto il Regime, gli assegna una sala personale nell’ambito della Prima Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma. Gli viene assegnato un terzo premio. Inizia le prime sperimentazioni d’encausto, suggestionato dagli affreschi ritrovati nella Villa dei Misteri di Pompei da Amedeo Maiuri. Questo decennio vede Ferrazzi pienamente partecipe al dibattito centrale sulla pittura murale, che ha i suoi “arditi” in Mario Sironi, Achille Funi, Gino Severini, Corrado Cagli, Carlo Carrà e Massimo Campigli e coinvolge figure internazionali come Le Corbusier. Ferrazzi è fermamente convinto che le arti figurative debbano entrare nella “funzione organica” svolta dall’architettura. Intanto è incaricato da Marcello Piacentini per il Ministero delle Corporazioni di realizzare i sette grandi Arazzi delle Corporazioni per il Palazzo delle Corporazioni, progettato dallo stesso Piacentini e da Antonio Vaccaro. È questa per Ferrazzi la prima grande commissione pubblica, che lo vede insieme a Mario Sironi incaricato di una vetrata istoriata, autore di un intervento non pittorico.

Nella primavera del 1933 si trasferisce nella casa-studio che si è costruito in via di Villa Emiliani, nel quartiere Parioli, sopra la vallata del Tevere. In aprile, nonostante non sia iscritto al Partito Nazionale Fascista, viene eletto Accademico d’Italia per la classe delle Arti, scelto in una terna con Mario Sironi ed Ardengo Soffici. Mediante tale carica potrà sollecitamente adoperarsi in favore di giovani artisti (GuttusoZiveriCagliMafai), come dimostrano alcuni documenti conservati nell’Archivio Ferrazzi. In questi anni partecipa al Premio Carnegie, alle Biennali di Venezia , alle Sindacali e a molte mostre estere. Nel 1936 le forze intellettuali italiane e molte straniere si ritrovano al VI Convegno Volta, promosso dalla Reale Accademia d’Italia per discutere sui “Rapporti dell’architettura con le arti figurative”. Oltre a Ferrazzi vengono convocati: Le Courbusier, Paul Fierens, Massimo Bontempelli, Henri Matisse, Armando Brasini, Carlo Carrà, Giuseppe Pagano, Cipriano Efisio Oppo, Marcello Piacentini, Felice Casorati, André Lhote. Nel 1937 è nominato membro della commissione ordinatrice della Mostra d’Arte italiana all’Esposizione Universale di Parigi. Alla fine dell’anno si reca negli Stati Uniti per fare parte della giuria del Premio Carnegie che si tiene a Pittsburgh. A New York visita attentamente le gallerie, i musei soffermandosi con molta attenzione sulla collezione del Fayum conservata al Metropolitan. Prende parte ad uno degli ultimi grandi cantieri pittorici promossi dal Regime nel Palazzo di Giustizia di Milano, opera di Marcello Piacentini

Nel 1941 porta a compimento due grandi encausti La scuola e L’aurora sulla rotazione delle terre nella Sala del Galilei dell’Università di Padova. Nel 1943 allestisce una personale nella Galleria di Roma che raccoglie centoquarantatrè lavori oltre disegni e pastelli realizzati a partire dal 1908. Si inaugura nel febbraio 1946 una personale di Ferrazzi, che sulle pareti della Galleria San Marco dispone un nuovo nucleo di quadri sul tema dell’Apocalisse, comprendente anche le recenti immagini della bomba di Hiroshima. La mostra è promossa dall'”Art Club”. Partecipa nuovamente alle Quadriennali, Biennali e all’ultima edizione del Premio Carnegie, avvenuta nel 1950, dove invia un capolavoro proprio di questi anni: La stanza. In questo periodo si concentra soprattutto su cicli pittorici religiosi, come gli affreschi nel Santuario di Santa Rita da Cascia e nella Basilica di Santo Eugenio a Roma, realizzati entrambi nel 1951. Nel 1954 conclude il grande mosaico, Apocalisse, che svolge sulle pareti della cripta del Mausoleo Ottolenghi. Da questo decennio trascorre molto del suo tempo nella nuova casa che si affaccia sul mare a Santa Liberata sull’Argentario. Qui si dedica principalmente alla scultura sbozzando le pietre naturali infisse nel terreno e i blocchi di nenfro delle cave di Canino, che poi completa con la pittura. Tale complesso scultoreo, che riprende tanti temi trattati lungo l’intero arco della sua attività, comprende il suggestivo Teatro della vita, che racchiude e completa idealmente il suo lungo cammino nell’arte. 

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