RICCARDO FRANCALANCIA

Assisi 1886 – Roma 1965

Dopo gli studi classici si reca a Roma, dove consegue una laurea in Scienze politiche e coloniali. Ottiene quindi un posto di lavoro presso il Credito Italiano e inizia a prendere contatto con l’ambiente artistico e culturale della Capitale, frequentando la Casa d’Arte Bragaglia e la “terza saletta” del Caffè Aragno. La passione per la pittura si manifesta intorno al 1919: sono di questa data i primi timidi paesaggi e molti disegni, spesso legati a una vena fantastica e surreale, vicina a quella dell’amica Edita Zur-Muehlen Broglio, pittrice e animatrice di “Valori Plastici” insieme al marito Mario Broglio. Quest’ultimo gli offre la possibilità di esporre nella mostra “Das Junge Italien” che tra la primavera e l’inverno di quell’anno è ospitata in varie città tedesche. Dalle carte dell'”Archivio di Valori Plastici” risulta che alcuni quadri di Francalancia entrano a far parte della “quadreria” che Broglio mette in piedi a fini commerciali insieme a Mario Girardon, finanziatore della rivista. Nel 1922 è nuovamente Mario Broglio ad appoggiare l’amico presentando un suo gruppo di opere esposto alla “Fiorentina Primaverile” insieme alle altre del gruppo di “Valori Plastici”. In questo periodo Francalancia abbandona infine l’impiego in banca per dedicarsi interamente alla pittura. Nel corso degli anni Venti espone alla III Biennale romana (1925) e alle mostre del “Novecento Italiano”. La prima personale è del 1928, alle “Stanze del libro” in Piazza Rondanini. Trentatré le opere esposte, tra paesaggi dell’Umbria e del Lazio, nature morte e agli interni. Propiziatore della mostra è il collezionista Angelo Signorelli, autore anche di una presentazione in catalogo. Nel giro di pochi giorni quasi tutti i dipinti vengono venduti. Tra gli acquirenti troviamo Alfredo Casella, che si aggiudica due paesaggi e l’Interno malinconico. Notevole anche l’attenzione della critica, che gli riconosce finalmente un posto di rilievo all’interno del panorama artistico romano. Quando nel 1929 espone alla prima mostra Sindacale viene accolto da Roberto Longhi con il nomignolo “la clarissa del Banco di Roma”, per ricordare i suoi trascorsi lavorativi e la sua tendenza a una pittura contemplativa: eppure, alcuni dei suoi dipinti ad esempio il Ritratto di Sergiacomi rivelano strane assonanze anche con il versante più espressionista della “Scuola romana”, tendenza che apparirà più evidente alla Seconda sindacale del ’30, dove i suoi dipinti vengono esposti nella stessa sala di Mafai e Scipione. La partecipazione alla Quadriennale del 1931, alla Biennale di Venezia del 1932 e la vittoria, in quello stesso anno, del premio per l’Arte Sacra a Padova, segnano un periodo di buoni successi. Il suo nome è ormai regolarmente affiancato a quelli di Trombadori e Donghi all’interno delle ricerche del “realismo magico”.

Tra il 1933 e il 1934 Francalancia soffre di una malattia nervosa che lo costringe a durissime cure cliniche e a lunghe soste nel lavoro. Nel 1935, tuttavia, torna alla Quadriennale con tre dipinti. Riprende a dipingere intensamente, lavorando sui temi consueti, dai paesaggi umbri e laziali alle nature morte. Nel dopoguerra le mostre più importanti si tengono a Roma alla galleria delle Terme ’42, alla “Palma” nel ’51 alla “Tartaruga” ’56 e alla “Nuova Pesa” nel ’64. Nel dopoguerra continua ad essere apprezzato soprattutto nel paesaggio, genere in cui ottiene alcuni riconoscimenti, Villa San Giovanni 1957, Acitrezza 1961. Nel catalogo di una personale alla galleria “Il Camino” pubblica per la prima volta uno scritto sulla propria pittura, scelto tra le centinaia di fogli che da anni riempie di appunti, aforismi, pensieri: «L’opera d’arte non deve far rimanere perplesso e sorpreso lo spirito di chi osserva, come di fronte a qualche cosa di eccezionale e di incomprensibile, ma deve destare un sereno sentimento di commozione tanto profondo e invadente quanto più è espressa la commozione che l’artista prova davanti alla natura». Muore a Roma il 20 maggio 1965.

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