GISBERTO CERACCHINI

Foiano della Chiana 1899 – Petrignano del Lago 1982

Figlio di lavoratori della terra, verso il 1915 giunge a Roma, dove visita i musei e comincia a dedicarsi, da autodidatta, alla pittura. Espone per la prima volta nel 1921 alla I Biennale romana con un’opera accettata dalla commissione per iniziativa di Armando Spadini. Intorno al 1925 prende lo studio a Villa Strohl-fern, dove rimane per tutta la vita. Ha frequenti rapporti con il gruppo di Via Cavour; è lui, infatti, a organizzare nel 1929 la mostra a Palazzo Doria in cui espone accanto a Mafai, Scipione e Di Cocco, e con loro si presenta nuovamente nel 1931 alla I Quadriennale Nazionale d’Arte. Roberto Longhi, in occasione della Sindacale del 1929, lo definisce “il più fervido ideatore” nel manipolo degli “irrealisti”, cogliendo l’aspetto peculiare della sua vocazione arcaicizzante, che suscita un discreto interesse nei giovani artisti romani. Negli anni Venti e Trenta la pittura di Ceracchini incontra il gusto del regime fascista, che tollerava le tendenze moderne purché indirizzate all’esaltazione della vita rurale e della famiglia.

Oltre ad esporre alle Sindacali, Ceracchini partecipa ad importanti rassegne quali le biennali di Venezia, le mostre del Novecento italiano a Milano, 1926 e 1929, e a Buenos Aires nel 1930, all’Esposizione d’arte italiana di Amsterdam del 1927 e all’Esposizione internazionale di Barcellona nel 1929. Alla II Quadriennale del 1935 allestisce un’importante personale con quindici dipinti, alcuni dei quali di grandi dimensioni, e due sculture. Contemporaneamente, partecipa alla collettiva di pittura italiana organizzata dal galleria Dario Sabatello a San Francisco e alla rassegna parigina “L’art italien des XIX et XX siècles”, al Jeu de Paume. Nel 1936 esegue l’affresco per il Sacrario dei caduti aretini fascisti, e anche nel dopoguerra intraprende numerose imprese decorative a soggetto sacro per chiede di nuova costruzione, soprattutto a Roma. Ottenuto l’insegnamento di pittura all’Accademia di Urbino, continua a dipingere in una dimensione solitaria, rimanendo coerente con la sua idea di figurazione.

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