Giorgio De Chirico, "Autoritratto", tempera su tela, 1923.

GIORGIO DE CHIRICO

Volos (Tessaglia) 1888 – Roma 1978

Nasce in Grecia da Gemma Cervetto, genovese, e da Evaristo, originario di Palermo. A causa della professione del padre, ingegnere responsabile di una compagnia ferroviaria, l’infanzia e la giovinezza trascorsero tra continui spostamenti.

Nel 1899 la famiglia si stabilì ad Atene, dove de Chirico iniziò lo studio del disegno, dapprima presso privati, per iscriversi poi al politecnico di Atene, frequentando per quattro anni i corsi di disegno e successivamente i corsi di pittura, sotto la guida di un ritrattista greco proveniente dall’accademia di Monaco.
Altrettanto precoce fu l’evoluzione artistica del fratello Andrea noto, dal 1914, con lo pseudonimo di Alberto Savinio che all’età di dodici anni si diplomò a pieni voti in pianoforte e composizione presso il conservatorio di Atene.

Nel 1905, dopo la morte del padre, la famiglia fece ritorno in Italia, per trasferirsi, dopo un breve soggiorno, a Monaco di Baviera nel 1906. A Monaco, uno dei maggiori centri della cultura figurativa europea, de Chirico rimase circa quattro anni, frequentando i corsi di pittura all’accademia di belle arti e studiando con passione nei musei.
Qui conobbe le opere dei pittori romantici, le sculture della Grecia arcaica e classica, l’opera di Dürer, la pittura veneta, i nazareni e von Marées. Figure fondamentali per la sua formazione furono anche: Böcklin, artista capace di trasmettere un forte senso di turbamento, di sorpresa e la capacità di rivisitare e far rivivere l’antichità e Klinger con i suoi accostamenti imprevedibili e la messa in scena di situazioni paradossali.
Decisivi per la sua formazione anche gli interessi filosofici: la lettura intensiva di Nietzsche e Schopenhauer influì in profondità sul suo pensiero e, dunque, sulla sua pittura. I primi quadri noti risalgono a un soggiorno milanese tra l’estate e l’autunno nel 1908: raffigurano lotte di centauri, scogliere e città sul mare, in una dimensione visionaria e romantica molto legata alla lezione di Böcklin. 

Nel 1910 l’artista fece ritorno in Italia, a Milano e poco dopo a Firenze. Qui maturò la svolta stilistica che lo condusse alla scoperta della pittura metafisica. Nel 1911, dopo una breve sosta a Torino, si trasferì a Parigi, raggiungendo il fratello.

I primi mesi parigini trascorsero in una parziale inattività; solo nell’autunno del 1912 l’artista riprese in pieno il suo lavoro ricollegandosi alle opere del 1910 e 1911 in cui ricercava “quel forte e misterioso sentimento scoperto nel libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane”.
La malinconia, l’enigma, la solitudine inquietante delle piazze di Firenze e degli spazi metafisici di Torino si ritrovano anche in alcuni quadri dedicati alla gare Montparnasse esposti al Salon des Indépendants nel 1913 che attirarono l’attenzione di Guillame Apollinaire. Il poeta capì subito il significato della pittura di de Chirico e in una recensione apparsa nell’ottobre del 1913, in occasione di una personale tenuta dall’artista nel suo atelier, ne sottolineò il carattere “interiore e mentale” indipendente dall’impressionismo come dalle ricerche dei più quotati pittori del momento, Matisse e Picasso.
Il successo di de Chirico in questo primo periodo parigino è testimoniato anche dall’attenzione dei collezionisti: il primo quadro venduto dall’artista, al Salon d’Automne del 1913, fu La torre rossa, al signor Olivier Senn di Le Havre.
Apollinaire ricevette in dono La grande tour. Altri collezionisti furono il coreografo Massine, Level, la baronessa d’Oettingen, la principessa di Polignac, ecc. La pittura dell’artista si approfondì precisando l’iconografia della metafisica e inaugurando il metodo della pittura a cicli: gli spazi delle città italiane, le torri e le stazioni, le statue greche e i monumenti risorgimentali, i cannoni, la frutta e alcuni oggetti inquietanti, si ricombinano in atmosfere prima rarefatte e malinconiche, poi, con l’approssimarsi della guerra, sempre più cupe e angoscianti.
Nei quadri del 1915 compare con frequenza il manichino, personaggio chiave per l’interpretazione del De Chirico. Lo scoppio della grande guerra determino una nuova situazione. Nell’estate del 1915 i due fratelli tornarono a Firenze, per arruolarsi: de Chirico assegnato alla fanteria, venne avviato a Ferrara, dove fu presto raggiunto da Savinio e dalla madre.
In questa città conobbe De Pisis e Govoni e riprese a lavorare con continuità, inviando le sue opere a Guillaume, suo mercante a Parigi, insieme ad una serie di lettere che permettono di ricostruire la sua evoluzione.
Dal 1917 data la corrispondenza con Carlo Carrà, anche lui militare in una località non lontana da Ferrara. Tra la fine di aprile e la metà di agosto i due trascorsero un periodo insieme all’ospedale Villa del Seminario, ricoverati per malattie nervose, e all’inizio del 1918 a Milano apparvero i primi quadri di Carrà ispirati a temi dechirichiani.
Tra i due si stabilì una profonda amicizia e una comunità di intenti, “raffreddata” solo nel 1920, quando Carrà pubblicò il testo Pittura metafisica a Firenze senza citare de Chirico. Durante il periodo ferrarese dal giugno 1915 al 1918 de Chirico realizzò alcuni dei suoi capolavori assoluti, come Il trovatoreEttore e AndromacaLe Muse inquietanti. Il primo periodo romano inizia nel dopoguerra, dopo le peregrinazioni tra Monaco, Parigi e Ferrara, che vedono affermarsi l’artista come una delle voci più originali e influenti della ricerca d’avanguardia.
Nel maggio 1918 tiene una personale nelle Sale dell’Epoca e nel 1919 alla Casa d’Arte Bragaglia dove presenta i suoi “manichini”, subendo una pesante stroncatura da parte di Roberto Longhi dal titolo “Il dio ortopedico”. Sempre nel 1918 si lega per contratto con Mario Broglio e su “Valori Plastici” pubblica la sua prima monografia.

Tra il 1919 e il 1925 si sposta frequentemente tra Roma e Firenze. Gli anni Venti segnano una svolta importante nel suo lavoro: il periodo metafisico, iniziato nel 1910, cede a quello della rivisitazione del museo caratterizzato dall’esecuzione dal vero di copie degli antichi maestri.
Questa produzione, giudicata all’epoca in termini d’involuzione rispetto ai risultati raggiunti dalla metafisica, viene presentata in una prima mostra a Milano alla Galleria Arte nel 1921.
Si accentua contestualmente l’atteggiamento teorico: sono di questo periodo gli scritti più importanti su “Valori Plastici”, “Il Convegno”, “Il Primato”, “La Ronda”. Nel 1921 espone 26 opere alla mostra di “Valori Plastici” a Berlino e nel 1922 è ancora con “Valori Plastici” alla Fiorentina primaverile. Nel 1923 partecipa alla Biennale romana, contribuendo in modo determinante al nuovo clima della pittura romana, tra Neoclassicismo” e Realismo magico. Durante i soggiorni nella capitale il Caffè Aragno diventa luogo di frequentazione abituale: si incontra con Massimo Bontempelli, Mario ed Edita Broglio, Amerigo Bartoli, Francesco Trombadori e Nino Bertoletti, che gli fa un ritratto con bastone e cappello a cilindro. Dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1924, tra la fine del 1925 e il 1931 è di nuovo a Parigi.
È il momento della rottura con il gruppo dei surrealisti guidato da André Breton, ma si tratta per de Chirico di un momento tra i più felici, in cui elabora temi nuovi che ritorneranno spesso nel suo lavoro: Gladiatori, Archeologi, Mobili nella valle, Paesaggi nella stanza. Anche durante la sua assenza da Roma, i suoi quadri continuano ad esercitare un grande interesse in artisti di stampo purista come Donghi e Francalancia, e nei giovani espressionisti di Via Cavour: Sinisgalli ricorda le lunghe soste di Scipione davanti al quadro “I pesci sacri”, allora nella collezione Broglio. Tra il 1930 e il 1935 viaggia tra Parigi e l’Italia; nel 1934 è a Roma, e, durante l’estate, a Castiglioncello, dove prepara scene e costumi per La figlia di Jorio di D’Annunzio, per la regia di Luigi Pirandello, che va in scena al Teatro Argentina il 10 ottobre 1934. In questi anni nella sua opera si accavallano e interferiscono temi, tecniche ed elaborazioni fantastiche in cui è possibile rintracciare motivi metafisici e suggestioni teatrali. Altri momenti del rapporto con Roma sono la personale di 45 opere nell’ambito della II Quadriennale e un breve passaggio al ritorno da New York nel 1938.
I “Bagni misteriosi”, esposti alla Quadriennale colpiscono l’immaginario di giovani artisti, tra i quali, ad esempio, Giuseppe Capogrossi. Alla fine della guerra si stabilisce a Roma.
In questi anni rimane intatta la sua vis polemica e l’acrobatica energia creativa. Intanto le sue opere del periodo metafisico figuravano nelle rassegne internazionali del surrealismo a Londra e New York. In particolare vanno ricordate le mostre newyorkesi alla Julien Levy Gallery nel 1935, con dipinti recenti, dove tenne anche due personali nel 1937 e nel 1938 e nella galleria di Pierre Matisse ventisei opere del periodo metafisico. Un vero trionfo fu poi la partecipazione alla mostra “Fantastic Art. Dada and Surrealism” organizzata da Alfred Barr Jr. al Museum of Modern Art nel 1936.
Tornato in Italia all’inizio del 1938, il riprese ad esporre i suoi lavori recenti in una serie di personali: alla galleria Barbaroux di Milano, alla Rotta di Genova e all’Arcobaleno di Venezia.
Dopo una breve permanenza a Roma si trasferì a Milano, compiendo brevi viaggi a Parigi e Londra. Tra il 1940 e il 1941, vivendo tra Milano e Firenze, iniziò a produrre le prime sculture in terracotta dipinta, riproponenti in tre dimensioni i suoi personaggi mitici.
De Chirico le presentò alla galleria Barbaroux di Milano nel marzo 1940, trovando la solita tiepida accoglienza da parte della critica. Questo mentre sul mercato artistico milanese, alimentato dalle collezioni Broglio e Castelfranco, le sue opere metafisiche toccavano quotazioni altissime. Il 1941 vide la nascita di un altro capolavoro grafico: le venti litografie per l’Apocalisse commentata da Bontempelli. Tra le mostre vanno ricordate quella della collezione Valdameri presso la Galleria di Roma, nel 1942 comprendente cinquantasei dipinti, e la personale con diciotto opere metafisiche alla galleria Art of this Century di Peggy Guggenheim di New York nel 1943. La valutazione della critica italiana nei suoi confronti apparve decisamente negativa anche in occasione della Biennale del 1942, a cui de Chirico partecipò con un folto gruppo di opere, reduce dalle sue esplorazioni nella pittura del Cinque e Seicento. Noncurante delle critiche, l’artista entrò decisamente nel suo periodo “barocco”, esponendo dal 1943 composizioni ambientate nella natura, ninfe e scene di caccia dipinte con grumi e filamenti di colore ricco e pastoso. 
Nel 1944-45 il pittore si trasferì a Roma, tomando a esporre dopo una breve pausa.
Duecento disegni vennero raccolti in una personale alla Galleria La Margherita a Roma nel 1945, mentre alla galleria del Secolo apparve per la prima volta l’Autoritratto nudo, il più celebre dell’interessante serie di autoritratti eseguiti in questi anni, in cui di volta in volta vediamo nelle vesti di torero, di personaggio barocco, di cavaliere romantico: un’operazione ironica e narcisistica da valutare nell’ambito di un tema da lui coltivato fin dalle prime tele. Inutile dire che anche questi quadri lasciarono sbigottiti molti critici che, contraddicendo in pieno la valutazione che di sé dava l’artista, affermarono la sua incapacità da un punto di vista tecnico. Nuove e più gravi polemiche esplosero l’anno seguente, quando la galleria Allard, a Parigi, organizzò una mostra con opere del periodo metafisico, che l’artista non riconobbe come autografe: è l’inizio della lunga e complessa vicenda dei falsi, che lo tormenterà per i suoi restanti anni, con frequenti risvolti giudiziari, e che ancor oggi è ben lungi da una conclusione.

Nel 1947 de Cirico andò ad abitare nella casa di piazza di Spagna, legando la sua immagine alle strade intorno a Trinità dei Monti e ad alcuni luoghi che contribuì a rendere famosi, come il caffè Greco in via Condotti e la Galleria Russo con la quale nel 1946 iniziò un rapporto ventennale.  Intanto la storicizzazione di dada e surrealismo faceva si che le sue opere venissero incluse nelle grandi retrospettive internazionali: alla mostra “Dada, Surrealism and their heritage” a New York al Museum of Modern Art nel 1961, alla Galleria Charpentier a Parigi nel 1964, nelle rassegne “Mitologie del nostro tempo” ad Arezzo nel 1965 e “Le Muse inquietanti” a Torino nel 1967. Una grande antologica, presentata in catalogo da Schmied, venne allestita nel 1970 a Milano a Palazzo Reale, prendendo finalmente in esame tutto l’arco della sua produzione.
Ad essa seguirono agli inizi degli anni Settanta una serie di mostre internazionali a New York, Londra, Bruxelles, Parigi e in Giappone. L’artista venne insignito di prestigiose onoreficenze, tra le quali notiamo la nomina ad accademico di Francia nel 1974 e la croce di grande ufficiale della Repubblica federale tedesca nel 1976.
Nel 1972 con la moglie compì una viaggio in Grecia, per la realizzazione di un documentario girato da F. Simongini per la Rai -Radiotelevisione italiana. In occasione del suo novantesimo anno, gli fu tributata una celebrazione in Campidoglio, mentre all’Artcurial di Parigi veniva allestita una grande mostra e si pubblicava il volume De Chirico par De Chirico. I suoi ultimi anni videro una estrema manifestazione di creatività; il pittore, rimescolando le visioni avute in tanti anni, sembrò voler indicare le strade per nuovi universi da esplorare.
Morì a Roma il 20 novembre 1978.

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